Blocco dello scrittore.
Tre semplici parole che da sole sembrano essere la fonte di tutti i nostri problemi. Loro sono le responsabili di scadenze mancate, romanzi, racconti e poesie lasciate a metà, notte insonni, litigi col partner o persino carriere interrotte e peggio ancora mai nate.
Ora però siediti, perché ho da darti una notizia: hai presente il blocco dello scrittore? Ecco: non esiste.
Non voglio dire che non ci si possa fermare durante la scrittura. Che non esistano i momenti difficili, dove non riusciamo a finire un capitolo, un paragrafo, una frase. Momenti in cui dubitiamo della nostra capacità di scrivere, della nostra creatività, delle nostre capacità.
Insomma: esiste il momento difficile. Esiste la paura, l’angoscia. L’ostacolo. Ma non esiste “il blocco dello scrittore”, perché non ci troviamo mai nella condizione di non poter scrivere affatto.
Mi spiego: possiamo scrivere un brutto incipit. Un dialogo sterile. Un personaggio piatto che non ci piace per niente. Una descrizione noiosa di un paesaggio.
Possiamo persino attaccarci alla lettera “A” e scriverla per tutta la pagina e sì, anche così avremmo scritto qualcosa.
Ciò che invece non può accadere è essere “bloccati dallo scrivere”.
A meno di non essere morti: in questo caso avremmo ragione, ma i nostri problemi sarebbero anche di un ordine diverso.
Ma allora perché ci blocchiamo?
Ma se non esiste il blocco dello scrittore come mai ci blocchiamo? Cosa ci impedisce di scrivere un testo di cui non siamo particolarmente convinti? Perché non ci forziamo a restare inchiodati alla scrivania finché non scriviamo anche solo un capitolo, un paragrafo,
una riga? Ci fermiamo perché dubitiamo di noi, della nostra capacità e ci chiediamo se ne sia valsa la pena impiegare tutto quel tempo per scrivere un testo discutibile.
Dubitiamo perché le parole che abbiamo scritto non ci rappresentano, o perché non sono perfette, o perché avevamo in mente solo quella frase, o quella scena, e ora non sappiamo come continuare.
Come nelle migliori storie d’amore, all’inizio l’entusiasmo ci ha accompagnati, ci ha fatto ignorare le nostre carenze tecniche, dimenticare che non eravamo ancora pronti per una relazione duratura. Ma adesso, adesso che abbiamo cominciato a scrivere qualcosa: la magia si è spezzata. Siamo tornati coi piedi per terra e cominciamo a chiederci che ci facciamo davvero lì.
Tutto questo ci spegne. Ci terrorizza. Ci spinge ad allontanarci dalla scrivania in cerca di qualunque altra attività che sappiamo fare così bene, come andare a buttare l’immondizia, sgranocchiare qualcosa, fare un videogioco, un cruciverba; tutte attività che – così, ad occhio – non faranno di noi dei grandi scrittori, ma che richiedono poca creatività.
Blocco dello scrittore: la “verità”
Ed ecco quindi la grande verità che volevamo nasconderci: il “blocco dello scrittore” era una copertura, una caramella dolce che ci dicevamo per nascondere “la verità”.
E la verità è che abbiamo paura.
Paura di non essere abbastanza bravi.
Di fare degli errori: grammaticali, di sintassi, persino di vita.
Di essere considerati degli scrittori mediocri.
Di non riuscire a finire il nostro romanzo.
Di non aver mai alcun lettore.
Nessun riconoscimento.
Nessun «Bravo», ma neanche un «Sì, insomma, così così», nulla, niente di tutto questo, il vuoto assoluto.
Paura di fallire.
O al contrario, paura di vincere. Ti chiedi: chi sei tu per poter realizzare i tuoi sogni? C’è questo pezzo, bellissimo, di Marianne Williamson.
Dice così:
La nostra paura più grande non è quella di essere inadeguati, ma quella di essere magnifici oltre ogni misura.
È la nostra luce, non la parte oscura, quella che più ci spaventa, perché è del tutto nuova, del tutto sorprendente.
Ci chiediamo: chi sono io per essere così brillante, intelligente, potente? Quando in realtà dovremmo chiederci: chi è che non sei? Sei stato creato per brillare, esattamente come brillano i bambini. Eccola, la nostra più grande paura: abbiamo paura di vincere.