Fondazione Pina Alessio onlus
Verbale della Giuria
La giuria della 2° edizione del concorso nazionale di poesia in lingua italiana “Pina Alessio”, presieduta da Maria Fedele e composta da: Alessio Giuseppe (presidente Fondazione Pina Alessio onlus), Bagalà Maria Teresa, Belcastro Paola, Nini Catananti, Rosa Romeo, Caterina Sorbara, si è riunita presso la sede della Fondazione Pina Alessio onlus per definire le graduatorie finali del
concorso.
Premesso che sono pervenute:
SEZIONE A Adulti Opere in lingua italiana per adulti n. 151 poesie
SEZIONE B Studenti scuole medie e superiori n. 11 poesie
SEZIONE C Adulti racconti n. 10 racconti
SEZIONE C Giovani racconti n. 1 racconto
dopo attenta lettura delle opere sottoposte all’esame dopo la verifica della Fondazione Pina Alessio onlus della regolarità, tenuto conto dei criteri di correttezza linguistica, originalità e capacità comunicativa, la giuria ha espresso all’unanimità i propri giudizi dai quali, dopo ulteriori verifiche della Fondazione, sono conseguite le seguenti graduatorie finali:
Sezione A – Opere in lingua italiana per adulti
1° classificato
Antonio Giordano di Scurcola Marsicana (TO) con “I Bambini”
2° classificato
Antonino Ietto di Gioia Tauro (RC) con “Oltre la vita”
3° classificato
Giuseppe Salvatore di Bari con “Chiara”
Sezione B – Opere studenti delle scuole primarie e secondarie di I grado
1° classificato
Adelasia Barresi di Gioia Tauro (RC) con “Silenzio sospirato”
2° classificato
Domenico Albanese di Amato di Taurianova (RC) con “Ti cercherò”
3° classificato
Elena Micali di Udine (VV) con “Non maledico la vita”
Sezione C – Opere in lingua italiana racconti
1° classificato
Teresa Martino di Udine (RC) con “Castelli d’amore”
2° classificato
Carlo Monteleone di Palmi (RC) con “Pensieri davanti al mare”
3° classificato
Donatella Dariol di Lendinara (TV) con “Tra le braccia di Morfeo”
Sezione C Giovani – Opere in lingua italiana racconti
1° classificato
Aurora Polimeni di Gioia Tauro (RC) con “Amore & Dolore”
Sezione A – Adulti – Opere in lingua italiana
1° Classificato
CON I BAMBINI
Si può curare questo oscuro male,
del maligno in poter che grida e scroscia,
dalla iattanza dell’innaturale
che semina nel mondo orrore e angoscia?
Membra impaurite, luci d’innocenza
Irrise da chi sordido corrompe,
da chi sdegna “virtude e canoscienza”
che ogni equilibrio umano viola e rompe.
Per questi mostri profanare è vita,
col crimine marchiare un’esistenza
che martoriata sta, sola e stupita,
con gli occhi grandi, senza più coscienza.
Membra bianche di cielo non hai scorte,
caldi sorrisi in smorfie hai raggellato.
Alla vita di fonti hai dato morte
e l’incanto frangesti del Creato.
E uccide, ti calpesta quel perverso,
del tuo visino infante non si cura.
Ma io lo inchiodo qui con rima e verso.
Ferocia fosti e sei contro natura!
E tu padre, tu madre con noi resta;
non più serpeggi e invada il bieco mostro.
Questo pianto per lui suoni protesta;
dolore e rabbia siano ciò che è nostro.
Noi eredi di un retaggio tutto umano
Che ci vide impotenti e a capo chino,
gridiamo: “Libertà! Che sia vano
l’orror per chi violenza fa a un bambino!”
Noi gridiamo a gran voce “Adesso basta”,
giuriamo: sarà azione la mestizia.
Che si punisca deviazion nefasta!
Si schiuda un fior di libertà e giustizia!
Sia la preghiera a Dio di sprone e frusta
Contro chi ai bimbi uccide l’innocenza.
Dobbiam condurre assieme lotta giusta
E nel Suo nome agisca la coscienza!
Motivazioni della giuria
L’autore in “Con i bambini” affronta il tema dei maltrattamenti sui minori, usando la scrittura come lama tagliente che affonda dentro l’anima di chi legge, quando descrive la profanazione del corpo innocente di un minore. Una profanazione assurda che toglie dignità anche quando chiede giustizia. Rimane soltanto un dolore infinito e l’affidamento a Dio affinché guidi la coscienza dell’uomo.
L’Autore
Antonio Giordano
Sezione A – Adulti – Opere in lingua italiana
2° Classificato
OLTRE LA VITA
Vivi nella mia mente e nel mio cuore
Figlio mio salito prematuramente al cielo
Così si è compiuto il tuo destino
Ed è calato sul mio cuore un velo,
continuerò a vederti ancora vivere
con gli occhi della mente e del mio cuore
ti parlerò sottovoce e sorriderò
per alleggerir il peso del dolore,
dividerò con te le gioie della vita
che non hai mai assaporato
e cercherò di vivere anche per te
il tempo che non ti è stato dato.
Finiti i giorni ci rincontreremo,
lasciato il tempo della quotidianità
tornerai ad essere una parte di me
per vivere in un’altra realtà.
La luce dei tuoi occhi guarderò
E sarà quello che il sole del mattino
Il ricordo non sarà più dolore
E resterai per sempre il mio bambino
Motivazioni della giuria
“Oltre la vita”. Lirica efficacissima che vive e fa vivere il dolore più grande, il dramma di un genitore, fonte di vita, che deve celebrare la morte della sua creatura, sepolta nel fiore degli anni. Emerge la speranza in una vita ultraterrena quando la luce ritornerà a splendere e, lasciato il tempo della quotidianità, le due anime torneranno a guizzare insieme nel mare dell’eternità.
L’Autore
Antonino Ietto
Sezione A – Adulti – Opere in lingua italiana
3° Classificato
CHIARA
Chiara, perduta nei giorni,
dove i sogni non hanno pretese.
Un vecchio maglione ti copre la pelle,
scolorito e bucato dal tempo,
mai più tolto da quel lontano inverno,
quando uccellino, caduto dal nido,
tutta nuda gelavi nel freddo
e la pietà ha vestito il tuo grido.
Con la gonna accarezzi la terra,
sul cammino della tua dura vita,
dove l’erba sul prato non cresce
e mai colto hai le margherite.
Tra i capelli, spettinati di nero,
mostri un viso che non sorride;
con i piedi calpesti il dolore,
dentro zoccoli di fiabe antiche.
Lunghe ore hai qui da passare,
su un cartone, davanti all’uscita,
con il cornetto della buona sorte
che costa un soldo d’amore infinito.
Le nuvole bianche, dipinte nel cielo,
cadute sono dall’azzurro sereno,
prese per sempre negli scaffali pieni
di merendine della pubblicità.
Tra i carrelli con poca spesa
Tendi la mano come un pulcino,
per mendicare cioccolata e biscotti
a quel tuo essere soltanto bambina.
Stanca e distrutta ti accoglie la sera
e stracci e pene ti porti via,
dentro il buio della tua primavera,
sola, col pianto della malinconia.
Motivazioni della giuria
La lirica “Chiara” è connotata da toni drammatici. In essa l’autore descrive la misera esistenza di una mendicante costretta a vivere di stenti. Tra i versi emergono la solitudine e il dolore per un’infanzia negata dove l’unico compagno di viaggio è il pianto della malinconia e la consapevolezza che nessun fiore mai le regalerà un sorriso.
L’Autore
Giuseppe Salvatore
Sezione B – Giovani- Opere in lingua italiana
1° Classificato
SILENZIO SOSPIRATO
Distrutta,
la guardai
disperata
lei così piena di sé
ed odio per me
ingiustificato.
Rimasi senza fiato
Strappata dal petto,
l’ultima percossa
poi le stelle
il buio
il dolore
il silenzio.
Per terra all’angolo,
hai fatto di me la tua preda,
io che son te,
e scappo da me.
Il silenzio di chi vorrebbe parlare
E tace
Motivazioni della giuria
Nei versi brevi ma incisivi della poesia “Silenzio sospirato” prepotentemente emerge il silenzio di chi, vittima di violenza, vorrebbe urlare il proprio dolore ma non ci riesce. Un silenzio intessuto di buio e disperazione per quelle percosse che devastano l’anima, portandosi via ogni cosa…persino il coraggio di reagire.
L’Autore
Adelasia Barresi
Sezione B – Giovani- Opere in lingua italiana
2° Classificato
TI CERCHERO’
Ti cercherò
Durante un giorno di pioggia
Quando le mie lacrime
Si fonderanno con il paesaggio
Ti cercherò
Durante un giorno di freddo
Come il mio cuore
Ormai fermo da tempo
Ti cercherò
Ma tu non ci sarai.
Motivazioni della giuria
La lirica “Chiara” è connotata da toni drammatici. In essa l’autore descrive la misera esistenza di una mendicante costretta a vivere di stenti. Tra i versi emergono la solitudine e il dolore per un’infanzia negata dove l’unico compagno di viaggio è il pianto della malinconia e la consapevolezza che nessun fiore mai le regalerà un sorriso.
L’Autore
Domenico Albanese
Sezione B – Giovani- Opere in lingua italiana
3° Classificato
NON MALEDICO LA VITA
nel silenzio delle mille voci
mescolo i sogni alla confusione
mi sento spaesato in questo turbinio di battiti
camminando in un cimitero di palazzi grigi e tristi.
Ho incontrato tanti uomini
lacerati dentro, dal mio stesso male.
La guerra cade addosso a noi
e ci travolge con impeto indelebile
nelle nostre menti, sui nostri corpi,
nel nostro domani.
Respirerò quest’aria polverosa
Riflettendo su chi giace immobile attorno ame
e chiedendo a Dio di farmi comprendere
se si sia solo dimenticato
di portare con sé anche la mia anima
o se io sia vivo solo per fortuna.
In questa città logorata
Non maledico la vita.
Canterò nuove melodie
Per far risplendere la mia esistenza,
per far rinascere la felicità.
Motivazioni della giuria
“Non maledico la vita”. Una poesia intensa e cadenzata sui ricordi dei particolari. La devastazione della guerra è vista dall’autrice con gli occhi “di poi”. Ma, dopo il racconto di tanto dolore, che provoca sconforto e smarrimento, nella poesia emerge prepotentemente l’amore per la vita ed il desiderio di una nuova felicità.
L’Autore
Elena Micali
Sezione C Adulti – Racconti- Opere in lingua italiana
1° Classificato
Castelli d’amore
L’odore del mare si sentiva già appena arrivati alla spiaggia, il tramonto faceva splendere i loro sorrisi e brillare i loro occhi. Erano bambini, Veronica di sei anni e Matteo di otto. Le loro famiglie erano in ottimi rapporti e molto spesso organizzavano brevi uscite per rilassarsi e far giocare i loro figli.
Veronica e Matteo erano cresciuti praticamente insieme. Veronica era molto curiosa e intraprendente, amava la creatività e la goffaggine di Matteo. Matteo era riflessivo e simpatico e si divertiva a far ridere Veronica.
Il sole accarezzava i loro volti e tra le chiacchiere dei genitori, il rumore del mare, il profumo dell’estate che riempiva i polmoni di nuove emozioni, Matteo e Veronica si lasciavano trasportare dal vento, inventando storie e giochi di re e regine, costruendo castelli di sabbia che sarebbero stati il loro rifugio e il loro nido d’amore. Simulavano un mondo fantastico, dove il re avrebbe salvato la sua regina e l’avrebbe portata al castello, in riva al mare, per sposarla giurandole amore eterno. Simulavano, involontariamente, un modo per dirsi che ci sarebbero stati sempre, l’uno per l’altra e forse quell’amicizia, nata fin da piccoli, avrebbe portato alla scoperta di mondi nuovi da conoscere, di spiagge lontane da visitare e di stelle da scrutare.
Ogni anno lo stesso rituale. Il profumo del mare, i castelli di sabbia, l’entusiasmo dell’estate, nuovi sogni e progetti da realizzare. Tutto era come sempre. Veronica e Matteo continuavano ad andare in quella spiaggia anche da adolescenti. C’erano i ricordi dei giochi, delle risate, delle corse sulla riva, degli spuntini mangiati insieme.
L’età era diversa adesso. Pian piano i castelli di sabbia lasciarono posto alle confidenze fatte durante lunghe passeggiate, la fantasia si tramutava in propositi per il futuro che volevano realizzare, ognuno col proprio destino, la compagnia dell’infanzia era diventata amicizia profonda. Nel cuore sapevano che esistevano sempre l’uno per l’altra.
Le loro strade si separarono presto per motivi di studio e, sebbene continuarono a pensarsi, nessuno ebbe l’intraprendenza e la forza di chiamare spesso l’altro, ma solo di tanto in tanto. Mancava avere l’amico accanto nel momento in cui bisognava ripartire, in cui si metteva tutta la vita in gioco seguendo dei sogni, con la paura di sbagliare e di non saper affrontare un mondo diverso e del tutto nuovo. Mancava avere quell’amico che sapeva capire con uno sguardo, che riempiva il cuore con un abbraccio, che sapeva stupire con un gesto e sapeva mettere in riga con una parola. Mancava, sì, ma sapevano di esserci sempre.
La lontananza li aiutò a capire quanto bisogno avessero l’uno dell’altra, quanta nostalgia avessero degli occhi, dei gesti, delle parole, della presenza… forse era qualcosa che stava già oltrepassando il limite dell’amicizia e avevano paura di confessarlo a loro stessi… avevano paura di capire che si stavano innamorando, non sapendo che entrambi vivevano le stesse emozioni.
Quell’estate, come da rituale, le famiglie decisero di passare qualche giorno su quella spiaggia, la famiglia di Veronica aveva, nel frattempo, comperato una casa sulla spiaggia, che affacciava direttamente sul mare. La vacanza fu breve per le famiglie, che ritornarono presto in città. Veronica rimase per più tempo, invece, voleva rilassarsi e prendere il sole dopo aver frequentato il primo anno dell’università e aver studiato molto per conseguire tutti gli esami in tempo. Anche Matteo godeva della pausa estiva, aveva iniziato a lavorare nell’azienda del padre.
Veronica uscì sulla veranda, chiuse gli occhi e si fece trasportare dal vento, lasciandosi avvolgere dal profumo del mare e dal calore del sole tiepido delle prime ore del mattino. Pensava a lui. Quella mattina, Matteo, uscì presto da casa, impaziente e agitato, prese la macchina e cominciò a guidare senza una meta. Pensava a lei. Senza accorgersene si ritrovò su quella spiaggia, davanti la casa, era vicino a Veronica. Aveva il cuore in gola. Si fermò a guardare il porticato, lei uscì e la vide in tutta la sua bellezza. Quell’incontro di sguardi fu sufficiente a spiegare tutto e ad annullare tutta la distanza degli ultimi tempi. Respirarono profondamente. Matteo salì le scale lentamente, senza distogliere gli occhi dal suo viso, lei lo seguì con lo sguardo, immobile e muta, come chi non riesce a muoversi e a parlare per un’emozione tanto grande.
Matteo le si avvicinò lentamente e le accarezzò il viso con dolcezza, lei chiuse gli occhi assaporando fino in fondo quel gesto e scoppiò in lacrime. Si strinsero, si strinsero forte.
“Mi sei mancato da morire”, sussurrò Veronica all’orecchio di Matteo.
“Anche tu”, rispose lui.
Si strinsero ancora più forte, sentirono i loro cuori battere velocemente. Erano certi, adesso, di amarsi ed erano certi che, entrambi, provavano lo stesso sentimento.
Matteo respirò profondamente, prese il viso di Veronica tra le mani, asciugò le sue lacrime con tenerezza e la baciò profondamente. Sentirono il mondo fermarsi e il cuore impazzire, capirono già di appartenersi.
Trascorsero quel giorno, e i giorni seguenti, a raccontarsi l’anno appena trascorso, tenendosi per mano, abbracciandosi, baciandosi, sfiorandosi. Si conoscevano da sempre, il loro amore era già un’alchimia naturale che rendeva tutto perfetto. È stato il destino a trovare la via.
L’estate passò così e fu l’estate più bella che i due poterono vivere fino a quel momento. Ripreso lo studio, Veronica dovette ripartire, ma sapeva che nessuno le avrebbe portato via Matteo. Appena Veronica tornava, i due si rifugiavano nella casa sulla spiaggia, si raccontavano tutto, come hanno sempre fatto, fin da piccoli. Si ritrovavano appena potevano.
Veronica terminò gli studi e tornò in quella casa dove ad aspettarla c’era Matteo. Il tempo trascorso non fece altro che rafforzare il loro amore. Quella sera, Matteo preparò la cena a lume di candela, mise fiori ovunque, e si vestì a dovere.
“Hai preparato tutto questo per me?”, disse meravigliata e commossa Veronica.
“Le sorprese devono ancora arrivare!”, disse Matteo con un sorriso ironico, di sfida.
Dopo la cena, Matteo prese la mano di Veronica e la invitò ad alzarsi per ballare con lui sul terrazzo. Aveva pensato a tutto, le luci, i fiori, la loro musica. Veronica era emozionata e lo strinse ancora più forte. Ballarono in silenzio, godendosi quel momento, con gli occhi chiusi, sentendo il respiro l’uno dell’altro, la pelle calda, il profumo e il cuore che batteva all’impazzata.
“Vieni con me”, disse Matteo.
Veronica lo seguì. Andarono sulla spiaggia poco distante dalla casa. Matteo le aveva comprato un telescopio, Veronica amava guardare le stelle. Era commossa e in fretta e furia si mise a cercare le stelle più belle in cielo. In quell’istante Matteo s’inginocchiò, tenendo in una mano un anello. Aveva le lacrime agli occhi per l’emozione.
“Ho studiato tanto per trovare le parole più belle da dirti stasera, ma non le ricordo più. Io ti amo e forse ti ho sempre amato, già da quando eravamo piccoli, da quando giocavamo a fare il re e la regina. Voglio darti il meglio che ho. Veronica, vuoi diventare mia moglie? Vuoi essere la mia regina per sempre?”.
“Sì”, riuscì a sussurrare Veronica con un filo di voce e fra le lacrime. Si gettò al collo di Matteo, lo riempì di baci e gli disse ripetutamente quanto lo amava.
Rimasero, per tutta la sera, abbracciati e in lacrime, guardando le stelle, mentre il mare si faceva sempre più calmo e “sbirciava” questo grande amore.
Poco dopo si sposarono. Ristrutturarono quella casa sulla spiaggia e vi ritornarono spesso con i loro figli a trascorrere i loro momenti più felici e più belli. Festeggiarono lì tutti i loro anniversari di matrimonio, tutti i compleanni, tutte le feste. A ogni anniversario si ritrovavano più stanchi, più vecchi, ma più innamorati.
Quando festeggiarono cinquanta anni di matrimonio, Matteo le preparò la cena a lume di candela, mise la musica nel terrazzo con fiori e luci. Dopo aver cenato, la invitò a ballare, come fece la sera che le chiese di sposarla. Si strinsero e piansero tutta la sera. Si raccontarono i difetti, le sensazioni, le paure che avevano avuto. Si addormentarono abbracciati.
Veronica era sempre più stanca, sempre più distratta. Matteo si accorse che, più passava il tempo, più lei s’indeboliva. La curava e la guardava con gli stessi occhi con i quali la guardò dal porticato tanti anni prima.
“Mi sento molto stanca. Vado a letto”, le disse Veronica, dando un bacio a Matteo e toccandogli un braccio.
“Ricorda sempre che io ti amo”, aggiunse.
“Vengo a letto anch’io”, disse Matteo.
“No, resta a leggere il giornale con calma”, lo rassicurò.
Così Veronica andò a letto. Matteo rimase sulla poltrona a leggere il giornale, poco dopo però si addormentò. Quando si svegliò e andò in camera da letto, vide la moglie riversa a terra, ormai senza vita. Il cuore le uscì dal petto per la paura. Chiamò subito i soccorsi. Gridò a vuoto. La accarezzò. La baciò, la strinse tra le lacrime, le dichiarò il suo amore. Lei non c’era più. Era morta nel silenzio, mentre Matteo dormiva. Si malediva per non averla sentita, per non essere andato a letto con lei. Si disperava. La sua Veronica non poteva essere morta.
Ecco che nel tentativo di stenderla sul letto, un dolore lancinante gli trafisse il petto. Capì. La strinse più forte e più forte ancora e morì su di lei.
All’arrivo dei soccorsi erano entrambi morti. Tutta la gente del paese vicino, accorse alla notizia. Quella diventò la casa dell’amore, la casa che vide crescere un amore straordinario, durato una vita e che tutti consideravano esemplare. Lì i giovani andavano a dichiarare il loro amore, a fare proposte di matrimonio, a incontrarsi per il primo appuntamento mentre il mare continuava ad assistere a tanta
meraviglia. Da quel luogo tutto era partito: dai castelli di sabbia, dai giochi di re e regine che combattevano per difendere l’amore. Un gioco diventato realtà nella vita che non si è concluso con la morte, perché è rivissuto, ogni volta, in tutti quei giovani che visitarono quel luogo, che si recarono su quella spiaggia a rivivere quei momenti, costruendo castelli di sabbia fatti d’amore, che questa volta il vento e il mare non potevano abbattere, perché resteranno e rivivranno per sempre.
Motivazioni della giuria
“Castelli d’amore” è un piacevole e commovente racconto sull’amore. Con un linguaggio accurato e piacevole l’autrice ripercorre la storia di Matteo e Veronica, due anime gemelle che incrociano i loro destini con quelli del loro “nido”; il luogo dove trascorrono gli anni più intensi e significativi della loro esistenza. Un posto divenuto, dopo la loro morte, la casa dell’amore. Le immagini sono intense e palpabili, così come i sentimenti forti a cui rimandano. Delicato e profondo, il romanzo coinvolge ed emoziona il lettore nelle vicende più intime e personali dei protagonisti.
L’Autore
Teresa Martino
Sezione C Adulti – Racconti- Opere in lingua italiana
2° Classificato
PENSIERI DAVANTI AL MARE
I lavori sono stati completati e domani ci sarà la partenza di tutti i tecnici e degli operai dell’impresa che ha curato le opere, ormai sono state smontate le attrezzature ed i cantieri sono vuoti. Sono trascorsi quasi dodici mesi, da quando Enrico è arrivato con altri colleghi in Calabria per i lavori di ampliamento dell’autostrada. Giovane ingegnere di quasi trent’anni, proveniente da una bella città della Lombardia, ha stabilito la sua sede in un piccolo centro nel sud della Calabria, circondato dal verde degli ulivi ed a pochi minuti dal mare.
In un anno di lavoro, come geologo, ha avuto la possibilità di girare in lungo e largo per tutta la regione, conoscendone tanti aspetti ed adesso, invece d’essere contento di ritornare a casa, sta sentendo una fitta al cuore. Non sa definire questa sensazione, che ora dopo ora diviene sempre più acuta. Tra una giornata potrà riabbracciare i propri genitori, eppure non si sente contento, come dovrebbe, ma un po’ smarrito, confuso, come chi sta per lasciare qualcosa di molto caro.
Completati i preparativi per la partenza, si muove dal proprio alloggio per fare due passi verso un vicino promontorio, da cui si domina il mare. Percorre un sentiero tra alti alberi d’ulivo, nell’aria varie fragranze primaverili si mischiano tra di loro, si distingue il profumo delle acacie, poi quello del gelsomino e delle rose d’un giardino vicino. Un alito di vento fa stormire leggermente le fronde e qualche uccello saltella di ramo in ramo. Da un maestoso pino marittimo proviene il verso delle cicale, che si fa sempre più insistente fino a diventare quasi assordante.
In basso, orlate da una striscia sottile di sabbia, si susseguono alcune calette con alle spalle un costone roccioso. Un vecchio pescatore dalla sua barca raccoglie pazientemente le reti, altre barche si trovano al largo ed in lontananza sono ben visibili lo Stretto di Messina ed i monti della Sicilia. Enrico scende per un ripido pendio ed è subito sulla spiaggia. La sabbia è finissima ed è piacevole affondarvi i piedi, cammina un po’, infine si siede su uno scoglio a guardare il mare. Che pace! Si sta bene al sole, una lucertola si crogiola tranquilla su una pietra accanto ad alcune agavi ed una farfalla svolazza sulla sabbia dorata.
Davanti a lui, il mare. Qualche lieve increspatura ed una vasta gamma di sfumature; dal verde smeraldo di un basso fondale, nel quale s’intravedono alcuni scogli sommersi, si passa al turchese e così poi ad un
bell’azzurro, che diventa blu scuro man mano che ci si allontana dalla costa. Alcuni gabbiani volteggiano nel cielo, lanciando il loro rauco grido, infine, s’adagiano sull’onda facendosi dolcemente cullare. All’orizzonte, una sottile linea scura segna un confine quasi impercettibile col cielo.
Per Enrico il mare non è una novità, fin da bambino ogni anno vi si recava con i suoi, ma intuisce che questo ha qualcosa di diverso. Le varie gradazioni dei colori, la limpidezza del cielo, il calore del sole, tutto possiede un fascino particolare ed ogni volta che va sulla spiaggia, fissandone i colori, si lascia andare a tanti pensieri. Spesso ricordi vicini e lontani affiorano.
Ripensa al suo arrivo in Calabria l’anno precedente e si rivede al finestrino del treno, davanti ad un alternarsi instancabile di spiagge e di scogliere, con alle spalle ripide alture, su cui stanno ancora arroccati ruderi di vecchi castelli normanni e torri d’avvistamento. Poi, per motivi di lavoro, comincia a percorrere tutta la regione, attraversando fitte boscaglie di lecci e di pini, sentieri odorosi di erica ed estesi prati, dove pascolano indisturbate le mucche accanto a vaste macchie di ginestre in un paesaggio sempre vario, in cui si passa in meno di un’ora dalla durezza dell’Aspromonte alla dolcezza dell’azzurro del mare.
Quando si ferma su qualche scogliera, gli vengono in mente sempre gli eroi omerici ed i personaggi mitologici, di cui è rimasta traccia in tanti nomi del posto. Da studente ha saputo anche di uno scrittore veneto, che, vista la costa di Capo Vaticano in Calabria, vi si stabilì per sempre, vivendo davanti a quel mare fino alla fine dei suoi giorni. Questa notizia l’ha sempre colpito, non riuscendo mai a rendersi conto di tale scelta ed ora forse ne potrebbe scoprire il motivo.
Enrico guarda, adesso, l’orologio, sono trascorse già due ore e non se n’è accorto affatto. Lì, davanti al mare, si ha l’impressione di essere al di fuori del tempo, immersi in un mondo di sogno. Il sole comincia a declinare ed una leggera brezza gli porta da una campagna vicina un intenso profumo di zagara. Infine, tutto il cielo si tinge di porpora ed i raggi del sole filtrano tra brandelli sfilacciati di nuvole. Il giovane s’ incammina, allora, verso il paese e, poco dopo, attraversato un viale di oleandri bianchi e rosa, giunge a casa, mentre le rondini sfrecciano ancora tra i tetti.
E’ stata una giornata un po’ calda, ma ora un venticello di ponente rende gradevole rimanere ancora fuori. Dopo cena, si siede sul balcone di casa, anche da là, si può ammirare un bel panorama. Quando non ci sono nuvole, si distinguono le navi di passaggio nello Stretto ed, in lontananza, anche le luci di Messina. Che spettacolo! La luna è particolarmente luminosa e si distinguono bene le stelle. Sembra un addio in piena regola per la sua ultima serata in Calabria.
E’ la fine di maggio e, tra qualche giorno, dall’Africa arriveranno gli adorni, portati dallo scirocco. Già, l’anno precedente, Enrico, giunto da poco, li ha visti nel cielo come tanti puntini neri avvicinarsi alla costa. Volavano in perfetto ordine, come se fossero stormi di aerei. E’ stata questa una delle prime piacevoli
scoperte, un’altra lo spettacolo delle isole Eolie che si stagliavano in un giorno molto limpido, al tramonto, su un orizzonte infuocato.
Questi tramonti, gli hanno spiegato, sono molto frequenti e la gente del luogo è così abituata da non farci più caso. Poi, di volta in volta, altre scoperte come, nei mesi invernali, il sentirsi addosso la brezza tiepida dello scirocco che mitiga la temperatura oppure veder di nuovo il cielo sereno subito dopo un temporale. Sembra quasi un prodigio della natura, dopo una mezz’oretta di forte pioggia con tuoni e lampi, vedere aprirsi il cielo, mentre il sole si apre un varco tra le nuvole.
Il giovane si è particolarmente affezionato a questa terra, al suo paesaggio, ai giganteschi ulivi e soprattutto ai villaggi dei pescatori. E’ ancora rimasto un senso del sacro in alcune zone, ormai disabitate, sedi nei secoli scorsi di monasteri bizantini, e sembra che i loro ruderi continuino a parlare il linguaggio dell’arcano.
In modo particolare, Enrico è stato colpito dall’ospitalità e dalla cortesia della gente. Quante volte un pescatore di sua conoscenza gli ha offerto qualche pesce pregiato appena pescato e la vicina di casa gli ha portato la parmigiana fatta da poco! Nè può dimenticare gli occhi dolci delle ragazze ed in particolare quelli di Daniela. Si sono conosciuti solo da poco in casa di amici ed ha avuto qualche volta l’occasione di parlare con lei. Gli occhi della ragazza erano luminosi, esprimevano tanta gioia di vivere e la sua tenerezza gli ha toccato il cuore.
Ormai è tardi, bisogna andare a riposare, perchè il giorno dopo dovrà alzarsi presto. Senza dubbio il bilancio di questa permanenza in Calabria è molto positivo. Ha già salutato i vicini di casa, che commossi l’hanno abbracciato riempiendolo di doni da portare con sé. Ha sentito al telefono anche i suoi, che non capiscono perché abbia scelto di ritornare in treno anziché in aereo.
E’ piuttosto difficile da spiegare loro quello che prova. Non sa quando ritornerà in Calabria né dove il suo lavoro e la vita lo porteranno, ma adesso, finalmente, gli è ben chiara la scelta di quello scrittore veneto ed un appuntamento importante l’indomani l’aspetta.
Partirà all’alba e per tre ore sfileranno davanti ai suoi occhi lucidi tanti chilometri di spiagge e di scogliere ed il mare sfoggerà i suoi colori più belli con una vasta gamma di sfumature, che vanno dal verde smeraldo dei bassi fondali al turchese e così poi all’azzurro, che diventa blu scuro man mano che ci si allontana dalla costa, mentre i gabbiani si lasciano cullare dolcemente dalle onde.
Motivazioni della giuria
“Pensieri davanti al mare”. Il racconto risalta per la capacità descrittiva del paesaggio calabrese, quello della Costa Viola, e della sua gente. La narrazione dei luoghi e dei colori porta con sé l’analisi interiore. E’, infatti, un viaggio a ritroso, tra i ricordi, quello fatto dal protagonista, dove le parole diventano pennellate e portano il lettore ad immergersi nei meravigliosi luoghi descritti.
L’Autore
Carlo Monteleone
Sezione C Adulti– Racconti- Opere in lingua italiana
3° Classificato
Tra le braccia di Morfeo
Un uomo e un violino.
Una vita angusta e ancora addormentata, avvolta nella nebbia quasi vischiosa di un’alba appannata. Da qualche parte il rumore degli zoccoli di un cavallo che si avvicina veloce.
O è un’illusione?
Un uomo e il suo violino: un suono stridente che giunge da un punto impreciso, serpeggia nell’aria a logorar la nebbia e mi chiama. Suona una melodia di malinconia e parole mancate , una poesia non detta, una nota sfiancata, un ricordo sbiadito dal tempo. E non è illusione.
Svolto, forse a destra, forse a sinistra, verso un vicolo minore e si apre un’inattesa giornata di sole, che mi si staglia dinanzi abbagliante e sfacciata.
Da qualche parte il suono del violino; lontani i passi di un uomo; un istante appena e mi pare sentir ancora gli zoccoli del cavallo muoversi con ritmo regolare e preciso in un piano ghiaioso, frettolosi. Ma forse è sempre la stessa illusione di un attimo prima.
Una svolta ancora, forse a sinistra, forse a destra ed è notte fonda e buia, senza luna e senza voci.
L’uomo e il suo violino; il cavallo; la mia illusione:
Tutto sta per prendere forma e sostanza in un tempo impreciso.
L’uomo avanza piano; non può che volteggiare su piedi piccoli e graziosi sospesi da terra: ogni rumore è prepotente in una dimensione così misteriosa e i suoi passi, se ci fossero, avrebbero l’eco di una cannonata al cuore: Si accosta ai muri del palazzo, un’altra porta, dietro cui si muovono altre vite, altri battiti di cuore e di ciglia.
Il suono graffia piano l’aria, ancora e poi ancora, ovattando da una nebbia pastosa, da un sole impertinente, in una notte buia.
D’improvviso si ferma all’angolo; il suono diventa un lamento che solca in due tutte le certezze.
E’ di spalle; non ne scorgo che una sagoma, indistinta e vaga… complici la nebbia mattutina, il sole accecante, la notte di catrame.
Una silhouette venuta da un altro tempo, sospinta da una forza misteriosa e potente: la forza evocativa di un ricordo bambino, di un pensiero perso e poi ritrovato.
Lentamente l’uomo si gira, nel suono improvvisamente morbido del suo violino.
Abiti e capelli di un tempo remoto, due occhi come trivelle che mi guardano togliendomi il fiato, lo sguardo fiero e feroce delle convinzioni, poche, alle quali si è arrampicato per affermarsi, la dolcezza di un movimento che non appartiene al nostro tempo e che procura quel suono opaco, lagnoso e rapido al tempo stesso, un turbine confuso di emozioni che mi mette con le spalle al muro e non mi dà scampo.
Unica spettatrice di quest’artista mancato, sono io la mattiniera figura a cui quest’uomo dedica il suo talento incompreso, mentre una lacrima solitaria sgorga lenta da uno dei suoi occhi grigi, gli scivola piano sulla guancia arida e cade a terra in un tonfo silenzioso.
Tanto basta: la nebbia si dirada, il sole scema in una pioggia gentile, il buio si squarcia in un’altra alba.
Motivazioni della giuria
“Tra le braccia calde di Morfeo” Un racconto pieno di visioni, dove l’autrice, con un linguaggio accurato e suggestivo, dimostra grande sensibilità. Forte l’impatto emotivo. L’incipit cattura subito il lettore e lo proietta nel mondo fantastico del sogno e dell’illusione.
L’Autore
Donatella Dariol
Sezione C Giovani – Racconti- Opere in lingua italiana
1° Classificato
Amore & Dolore
Berlino, 30 novembre 1940
Il vento soffiava forte sui tetti innevati della grande Berlino e le strade erano quasi completamente deserte, fatta eccezione di qualche ragazzino infreddolito che si stringeva nel proprio caldo cappotto e proseguiva nelle strade buie, quasi fondendosi con l’oscurità e scomparendo in qualche vicolo poco dopo. E Caroline osservava tutto minuziosamente dalla finestra della sua camera da letto, non si faceva sfuggire nemmeno un dettaglio, amava-specialmente durante le giornate d’inverno-sedersi su una sedia accanto alla finestra, scostare le tendine chiare e osservare la distesa innevata che era diventata la sua cara città durante quei giorni. Amava osservare ogni persona, ogni loro azione, ogni loro espressione facciale per capire le emozioni che si celavano dentro di loro in quel momento. Amava immaginare la vita di ogni persona, immaginare ogni loro storia. “Sogni troppo-le diceva Jasmine, sua madre-torna con i piedi per terra, figliola, non ti fa bene, soprattutto in tempi duri come questi”
Ebbene sì, in tempi duri. Perché la Germania stava passando un brutto periodo, da quando quell’Hitler che lei tanto detestava, aveva preso potere. A causa sua ora la Germania era in guerra. E “l’uomo dai baffi neri”, come lo definiva lei, andava del tutto contro le sue idee. Caroline, fin da piccola era stata cresciuta in una famiglia libera dai pregiudizi, diversa da tutte le altre di quel tempo e le avevano insegnato ad amare ogni singola cosa della vita e soprattutto di rispettare ogni essere vivente presente sulla Terra, perché ogni vita ha un valore. Anche quella del più insignificante insetto. Ma Hitler sembrava non pensarla allo stesso modo. Appena salito al potere con la forza, aveva iniziato a dire che la razza tedesca era superiore. E secondo questo principio decise di penalizzare gli ebrei, omosessuali, rom e tutte le categorie che secondo lui erano “inferiori” o “impure” e lei non riusciva a concepire tutto ciò, era assurdo! Un improvviso urlo la ridestò dai suoi pensieri. Spostò lo sguardo giù, e vide un ragazzo, circa la sua età, capelli neri, molto minuto e smunto, che scappava in preda al panico, mentre un altro-probabilmente suo amico-era disteso per terra in una pozza di sangue e un soldato tedesco poco dietro di lui che rideva sguaiatamente davanti a quel macabro spettacolo. E ciò fece scattare qualcosa in Caroline, portandola a fare una pazzia.
Afferrò velocemente il leggero cappotto dall’appendi-abiti e si fermò ad osservarsi allo specchio con una leggera smorfia. Beh, non si piaceva molto. Nonostante la sua figura alta, snella di sedicenne, i capelli color grano che ricadevano un po’ più giù delle spalle, gli occhi verdi e luminosi come un campo d’erba in primavera, ella non si convinceva mai abbastanza e pensava: ”Il mio naso è troppo all’insù, sono troppo magra, ecc..”E riusciva a trovarsi sempre difetti. E odiava quello stupido specchio che ogni volta che usciva, doveva ricordarle, tutte le sue imperfezioni. Lo avrebbe volentieri buttato se non fosse stato prezioso e sua madre non l’adorasse. Scuotendo la testa, si decise e uscì fuori, sperando di non essere in ritardo per ciò che voleva fare. Scese le scale del suo modesto appartamento, che condivideva solo con sua madre da quando suo padre e suo fratello erano morti in guerra e uscita dalla porta sentì il freddo colpirla in viso come uno schiaffo. Rabbrividì leggermente e si diresse a passo svelto lungo il sentiero dove aveva visto precedentemente correre il ragazzino. Dopo qualche metro, sentì un leggero pianto e non poté fare a meno di fermarsi e capire da dove provenisse. Esattamente da dietro di lei. Si girò e lo vide, finalmente. Rannicchiato per terra, al freddo, con leggeri stracci addosso. Si chinò e con occhi pieni di pietà e di dispiacere mormorò “Ehi?” ricevendo come risposta due occhi azzurri cielo che fissavano i suoi. E le si bloccò il respiro.
-Uhm, sono C-Caroline..Ho visto che eri in difficoltà e volevo a-aiutarti, si.- Disse la ragazza incerta, piegando la testa di lato e sorridendo nervosamente. Lui la guardò stranito, d’altro canto nessuno l’aveva mai aiutato ed era più sorpreso che mai. Ma vedendo sincerità negli occhi della ragazza decise di alzarsi a fatica e dopo essersi sistemato le porse la mano titubante, senza staccare gli occhi dai suoi: -Piacere, sono Aaron.- I due si strinsero la mano ed entrambi, nel profondo, sentirono una scossa, un fremito. Ma quello era solo l’inizio della fine.
Berlino, 12 dicembre 1940
Caroline era riuscita finalmente a scoprire qualcosa di Aaron: Innanzitutto il suo cognome era Lange, egli aveva diciannove anni, era tedesco e lo stesso soldato che aveva ucciso il suo amico quella sera in cui l’aveva conosciuto aveva fatto fuori anche sua madre-l’unica persona che gli rimaneva in quanto suo padre era scappato quando lui era ancora in fasce-e aveva portato chissà dove il suo corpo. Perché? Semplice, erano ebrei. Gli ebrei andavano sterminati. Lui era l’unico che era riuscito a scappare via in tempo ed era ormai solo al mondo. E poi non sapeva altro, non si fidava ed era evidente ed ovvio, si conoscevano da pochi giorni e non poteva sapere che intenzioni avesse la ragazza bionda che gli offriva cibo e un tetto sulla testa, dal canto suo poteva persino essere una spia.
Le giornate passavano e la vita di entrambi i ragazzi era migliorata ormai. Quando riuscivano ad uscire facevano lunghe passeggiate sui marciapiedi ancora innevati, osservando in silenzio il territorio che li circondava, spesso non avevano bisogno di parole, riuscivano a capirsi come solo due anime danneggiate e solitarie potevano, con in sottofondo le urla dei bambini felici incoscienti di ciò che accadeva intorno a loro e questo i due ragazzi lo invidiavano, invidiavano i bambini così spensierati e giocosi mentre intorno a loro era in procinto di scoppiare una guerra, senza sapere che ciò che avevano sarebbe probabilmente sparito nel giro di qualche mese e che sarebbero usciti chissà di casa chissà quando. Ma l’intera Berlino, le strade lunghe e trafficate, le piccole viuzze abitate da qualche senzatetto e cani randagi, i negozi che circondavano da ambedue i lati le strade bianche, i parchi immersi nel verde e le case colorate, le persone avvolte in grandi e costose pellicce, sembrava una città che splendeva e irradiava bellezza e libertà da tutti i pori. Ma non sarebbe stato così per molto. I due ragazzi adesso seduti su un grande prato di betulle intenti a formare una corona con i piccoli fiori-cosa che facevano quasi pomeriggio- sentivano che qualcosa stava per cambiare ed erano in allerta costante. Ma nel frattempo si godevano il tempo insieme, tra sorrisi, partite a carte, ascoltando programmi radiofonici, lunghe passeggiate e Caroline che cercava in ogni modo di imparare ad Aaron a ballare e lui che, solo per accontentare la bionda, sbuffava e cercare di imitare svogliatamente i passi, finendo per fare un disastro. Tra risate che riportavano la gioia di vivere nel cuore di entrambi, loro si bastavano, si accontentavano l’uno dell’altra, non avevano bisogno di altre persone intorno, avevano creato il loro universo personale, strano, pieno di cicatrici dal passato, pieno di pregiudizi e costantemente giudicato. Ma andava bene così. E forse, ma dico forse Aaron poteva aver perso uno o due battiti osservando di nascosto la ragazza pettinarsi i capelli davanti allo specchio ogni sera, ma non ci è davvero dato saperlo.
Berlino, 15 dicembre 1940
Caroline e Aaron stavano giocando tranquillamente a carte sul letto di lei quando la madre della giovane entrò allarmata in camera, suscitando le espressioni accigliate di entrambi i ragazzi.
-Tu! Devi nasconderti o andare via i-io non so, ci sono delle guardie, chiedono di un certo Aaron, un ebreo, voglio portarti via come i nostri vicini!- Disse allarmata, cercando di nascondere il tremolio che la scuoteva. Entrambi i ragazzi furono presi da un attimo di panico dal quale però Aaron si riprese subito, e sicuramente-pensò Caroline- chissà quante altre volte era stato obbligato a scappare per riuscire a reagire così velocemente mentre lei era bloccata dalla paura, sia per lei e per sua madre che nascondevano un ebreo e quindi sarebbero potute essere uccise, sia per Aaron perché si era affezionata a lui e non poteva sopportare l’idea di perderlo, l’idea che anche lui fosse portato in uno di quei campi di lavoro dai quali non si faceva più ritorno..
-Caroline!- la richiamò Aaron, scuotendola per le spalle -Devo andare..-continuò dispiaciuto, con gli occhi azzurri e lucidi che risplendevano con la luce soffusa della stanza.
-Vengo con te!- urlò a quel punto Caroline, una volta riacquistata la capacità di intendere e di volere e dopo essere uscita dal vortice di pensieri che la stava lentamente inghiottendo.
-No Car, pensaci ti prego..Non- non puoi- la supplicò sua madre, ma venne interrotta da forti colpi sulla porta d’ingresso -Signora Kruek apra la porta per favore o saremo costretti a sfondarla.- tuonò un uomo con forte accento tedesco del nord.
A quel punto Caroline diede un bacio sulla guancia della madre e dopo aver indossato la giacca, ignorando le proteste di Aaron che le diceva di rimanere lì, salutò la madre con un appena sussurrato “Ci rivedremo, promesso..Ti voglio bene mamma”, e attraverso dei lenzuoli che in fretta e furia legarono e lanciarono dalla finestra, scesero e iniziarono a correre mano nella mano, confondendosi tra la neve e la luce rossa del tramonto.
Circa due giorni dopo i ragazzi ormai infreddoliti e spaventati, cercavano qualcosa da mangiare. Da quanto erano andati via di casa, con i pochi soldi presi erano riusciti ad arrivare fuori città in un piccolo paesino di campagna di cui non ricordavano nemmeno il nome, si erano rifugiati in una stalla abbandonata ed erano andati avanti grazie al poco cibo che avevano trovato nella casa accanto, probabilmente abbandonata a causa della guerra o forse i proprietari erano ebrei come Aaron, trascinati via con la forza, il che era l’ipotesi più probabile dato che quando i due erano entrati c’era il tavolo con dei piatti di carne e formaggio mangiucchiati da insetti e topi, ormai marci. Ma, ben presto il poco cibo finì e si ritrovarono a dover provvedere e trovarlo da soli, cosa molto, molto difficile in tempo come quelli.
-Moriremo..- Sussurrò Caroline, stringendosi contro il caldo corpo di Aaron che a sua volta la teneva stretta a sé con un braccio intorno alla sua esile vita, oh quanto avrebbe voluto che fosse rimasta a casa, non poteva sopportare di vederla soffrire, era la donna che amava. Ebbene sì, amava. Ci aveva messo un po’ a capire i propri sentimenti e ad accettarli, perché in tempi come quelli un concetto come l’amore era severamente proibito se volevi salvarti, sopratutto nella sua situazione. L’amore era un qualcosa di astratto ma potente, capace di risucchiare ogni tua energia, capace di farti fare ogni pazzia ad occhi chiusi per la persona amata. Aaron sapeva di essere caduto inevitabilmente in un baratro senza via d’uscita, di essere caduto nell’oblio che ha sempre detestato fin da quando sua madre da piccolo, gli raccontava storie di mostri che trascinavano i bambini in dei profondi pozzi finché non venivano salvati dalla persona che li amava.E poi lo lasciava dormire al buio. Il buio. L’oblio. La paura di non superare la notte. La paura che qualcosa di molto più grande e potente incombeva su di lui, nascosto nell’ombra e pronto ad attaccare quando meno se lo aspettava. Ma c’era sempre un ma. Caroline era lì, la persona che amava e che era sicuramente pronta a salvarlo quando meno se lo aspettava, si fidava di lei e sapeva che qualsiasi cosa fosse accaduta, lei gli sarebbe rimasta accanto.
-Non dirlo nemmeno..- rispose convinto Aaron, lasciandole un delicato bacio sulla fronte fredda. Si guardò intorno in cerca di una fonte di salvezza ma non trovò nulla..Finché in lontananza un camion con dentro dei soldati (chiaramente non tedeschi) stava per partire. Allora si alzò e prese in braccio Caroline ormai debole e infreddolita e corse verso quegli uomini. Essi appena li videro gli si pararono davanti gonfiando il petto, quasi sentendosi superiori a tutto e tutti, uno di loro poi chiese con un gran vocione:- Chi siete e cosa volete?-
-Io sono Aaron e lei è Caroline, abbiamo bisogno di un riparo e del cibo, v-vi prego aiutateci- Disse in tono supplichevole Aaron, guardando con speranza negli occhi gli uomini in divisa.
Essi si scambiarono un’occhiata e annuirono.
-Ebrei, vero?-
-Come..-
-Rispondi, ragazzo.-
-Io sono ebreo. Lei no, mi ha solo aiutato a fuggire.-
-Venite con noi allora- Disse uno di loro, aprendo le ante del camion e rivelando solo oscurità.
-Presto!-
E Aaron non se lo fece ripetere due volte. Non si fidava ma tentar non nuoce, quindi salì e quando le ante furono chiuse e la luce aperta, spalancò gli occhi davanti a ciò che si trovò davanti. Uomini, donne e bambini di tutte le età..Ma che ci facevano lì?
-Chi siete?- Chiese infatti titubante, prendendo un posto a sedere con Caroline ormai addormentata su di lui.
-Siamo ebrei.- Rispose un uomo anziano, con la barba lunga e bianca. A quelle parole vide che il ragazzo si allarmò, convinto che volessero portarli nei campi di lavoro e sicuramente aveva firmato la sua condanna a morte. Il vecchio lo notò e gli fece un leggero sorriso -Non ci deporteranno, vogliono solo aiutarci. Ci daranno dei documenti falsi e ci faranno stare in una casa in campagna, dove avremo tutto ciò di cui abbiamo bisogno finché la guerra non finirà. Loro dicono che finirà presto..- Aaron si fidò delle sue parole e abbassò la guardia, tornando a sedersi.
In un mondo dove tutti erano nemici di tutti, dove l’egoismo e la fame regnavano e la fiducia era sicuramente una parola sconosciuta, il ragazzo dai capelli neri si fidò per la prima volta in molti anni, di uno sconosciuto per giunta. Era sconvolgente come dal pensare solo a sé stesso e combattere per vivere, era arrivato a dover proteggere un’altra persona che dipendeva totalmente da lui, perché per quanto Caroline dicesse che era autonoma, indipendente e ”capace di difendere la sua dignità da sola” entrambi infondo sapevano che era impossibile. Aaron sorrise pensandoci, la sua Caroline era davvero una soldatessa della pace e lui non poteva che sentirsi onorato solamente ad averla vicina. Perso nei suoi pensieri non si era accorto che erano già passate un paio d’ore e il camion si era fermato. Uno dei duoi uomini con lo sguardo severo aprì e chiese -Se qualcuno ha bisogno di usare il bagno, siamo in un luogo abbastanza abbandonato, potete scendere.- Al che Aaron subito si alzò con Caroline in braccio e senza dire una parola uscì dal camion, dirigendosi nel punto indicatogli dal soldato. In quello stesso istante, la ragazza tra le sue braccia si svegliò e si guardò intorno con gli occhioni spalancati e confusi: Dove si trovava?
-Ma dove…-Iniziò a dire, venendo però bloccata da una mano sulle labbra e da un appena sussurrato ”Zitta”, ella sobbalzò ma capì che era solo il suo amico e si calmò.
Ciò che però non vide furono i due soldati tedeschi vicino al furgone, non vide gli uomini di cui non conoscevano nemmeno il nome dire che ”sì, sono tutti qui, non è sceso nessuno” e grazie ad Aaron che le tappava le orecchie non vide tutti i soldati uccidere ogni persona presente su quel camion che pochi minuti prima era la loro unica salvezza.
Regensburg, pochi giorni dopo
Avevano vagato, chiesto passaggi e usato i pochi soldi che rimanevano per un po’ di cibo e per miracolo avevano raggiunto la città di Regensburg, un po’ lontana da Berlino ma il meglio che potevano permettersi. Dovevano accontentarsi di ogni cosa in tempi di guerra. Dovevano ringraziare di essere ancora vivi. Mentre vagavano in cerca di una meta che in realtà nemmeno loro conoscevano, Caroline trovò un giornale vecchio di qualche giorno lasciato con noncuranza per terra. Ciò che la attirò maggiormente fu sicuramente la scritta in grande ”Uno dei più grandi palazzi di Berlino distrutto da una bomba” e di certo non si aspettava di vedere l’immagine del suo palazzo.
”Nessuno sopravvissuto”
Lesse e rilesse quell’articolo fino ad imparare ogni singola parola. Aaron continuava a scuoterla per un braccio ma ella non capiva più nulla mentre la consapevolezza di essere rimasta sola al mondo si consolidava dentro di sé.
-Aar..Mia madre..morta..- Mormorò tra le lacrime e gli sbatté quasi in faccia il giornale. Egli lesse e gli occhi quasi gli divennero lucidi, quella donna era stata quasi una madre per lui per un piccolo periodo e sapere che era morta lo distruggeva come sicuramente distruggeva Caroline, adesso piangente e stretta tra le sue braccia :-Ehi piccola..- Iniziò titubante, non sapendo realmente cosa dire -Non piangere okay? So che è impossibile, però tua madre sta bene adesso, sì? Sono sicura che lei non vorrebbe vederti in questo stato. Piuttosto cerchiamo di sopravvivere, facciamolo per lei.-Concluse con voce convinta, tentando di consolare l’amata. Ma fu tutto inutile, ella pianse e singhiozzò come mai aveva fatto in vita sua; non solo per sua madre ma perché dentro di sé sapeva che non sarebbero mai sopravvissuti, non avevano nulla, non potevano contare sull’aiuto di nessuno ed erano semplicemente loro contro il mondo, un mondo egoista e violento che non avrebbe faticato a schiacciarli come le piccole e insulse formiche che erano.
La sera arrivò e le strade della piccola cittadina di Regensburg ben presto furono spente e deserte, illuminate solo dalla luce fioca del lampioni e qualche urlo in lontananza: Retate dei tedeschi. Cose alle quali erano abituati anche a Berlino.Tutto era buio, buio come la vita di ogni persona durante quella guerra inutile, un buio che unitosi allo stato d’animo di ogni individuo lo logorava dentro, faceva quasi male, gli
inneriva il cuore e lo incupiva facendolo diventare un pozzo nero e senza fondo, vuoto e freddo, un pozzo dove nonostante fosse grande non c’era davvero spazio e tempo per innamorarsi, per provare affetto e per gli amici, un mondo dove tutti erano contro tutti, come un branco di cani davanti ad una bistecca fresca; solo una persona ne sarebbe uscita fuori viva, qualcuno dotato di ingegno, forza d’animo e astuzia. I più deboli semplicemente sarebbero periti. E, come nel caso di Caroline, un mondo dove ogni persona a cui ci si affezionava scompariva, o per scelta propria di allontanarsi o a causa delle tante bombe o perché appunto, non c’era posto per qualcun’altro. Non c’era tempo per soffrire e piangere la perdita di qualcuno perché ben presto ce ne sarebbe stata un’altra, che fosse un parente o una persona che la si ha vista due o tre volte per strada o nel bar dove si era soliti prendere il caffé. Parola d’ordine: Egoismo. Ma Caroline e Aaron sembravano in un mondo tutto loro, dove non esisteva guerra ma solo l’affetto e l’amore che li legava e che entrambi ignoravano o almeno ci provavano, non potevano essere cattivi, c’era il costante bisogno di stare l’uno tra le braccia dell’altro, di aiutarsi a sopravvivere l’un l’altro. E se con gli altri erano egoisti, tra di loro erano le persone più gentili e buone sulla faccia della Terra. E andava bene così. I due fortunatamente avevano trovato un vicoletto nascosto ed isolato dove poter passare la notte. Si adagiarono contro un muro e si strinsero forte, braccia e gambe intrecciate tra di loro per riscaldarsi in qualche modo. Le ore passarono molto lentamente e ogni folata di vento era come un pugno in faccia, il freddo era davvero troppo da sopportare. Per questo motivo Caroline, tremante e convinta di non farcela alzò lo sguardo verso Aaron, perdendosi nei suoi occhi azzurri come il mare e sentendo uno strano calore irradiarsi dentro di sé.
-Aaron..Io..Io so che non sopravvivremmo e-Ssh fammi parlare- Disse in un sussurro, posando un dito sulle labbra di Aaron che dopo la prima frase era già pronto a zittirla-Dicevo, so che non sopravvivremmo per questo voglio dirti ciò che provo, non voglio portarmelo con me dentro la tomba. Sai, quando ti ho visto correre spaventato in quella strada ha dominato l’istinto di protezione, istinto di ”eroina” come a mia madre piaceva definirlo e sapevo, sapevo da quando ti ho visto poco dopo in quel vicoletto infreddolito che saresti diventato parte di me, che non ti avrei dimenticato facilmente. E nei giorni seguenti ne ho avuto la conferma. Come dimenticare i tuoi occhi? Come dimenticare i tuoi sorrisi che formano quelle adorabili rughette agli angoli degli occhi? Come dimenticare i tuoi capelli ricci continuamente in disordine? Come dimenticare il tuo modo goffo di fingere di saper ballare e fare il gentlemen? Come dimenticare la tua infinita bellezza, ma non quella fuori, bensì quella che hai dentro di te, la stessa bellezza che mi ha fatta perdutamente innamorare di te e di ogni piccola cosa che ti riguarda, una bellezza che mi ha preso lentamente e poi subito velocemente, che in questo pazzo mondo mi ha trascinato in un dirupo dal quale è impossibile uscire e mi ha portata in un mondo fatto di te e dei tuoi bellissimi sorrisi. Grazie per avermi protetta, grazie per avermi fatto provare questo sentimento che credevo di non poter provare mai più, grazie per avermi mostrato te stesso tramite piccoli gesti. Perché anche se so poco della tua storia, sento come se ti conoscessi da anni e mi fido come non mi sono mai fidata di nessuno in vita mia..E, e va bene se non ricambierai, se vorrai una di quelle belle ragazze ricche, ma io sono qui con il cuore in mano pronto a donartelo se vorrai. Io sono qui, pazzamente innamorata di te, Aaron.-
Egli rimase interdetto, tutto ciò che aspettava da settimane si era finalmente avverato e non poteva far altro che gioirne. Le parole non uscivano, era come se si fossero bloccate, per questo si lasciò guidare dal proprio cuore, chinò il viso e poggiò le labbra su quelle morbide della ragazza, siggillandole in un dolce bacio, lento e senza fretta. Quando finalmente si staccarono con gli occhi lucidi per la commozione e le guance rosse, si sorrisero guardandosi negli occhi e il ragazzo finalmente parlò:
-Non so cosa dire esattamente, mi hai colto di sorpresa. Sei entrata nella mia vita come un fulmine a ciel sereno, mi hai aiutato e per la prima volta non ho dovuto pensare a me stesso perché c’era qualcun’altro che lo faceva…Sei davvero la cosa più bella che mi sia mai capitata e non ringrazierò mai abbastanza Dio o qualsiasi cosa ci sia lassù per avermi concesso l’onore di avere nella mia vita un angelo come te. Due semplici parole possono esprimere tutto il subbuglio che il mio cuore sta provando: Ti amo.-
E da lì, tutto iniziò ad essere sfocato. I baci diventarono quasi inebrianti, rimasero attaccati l’uno alle labbra dell’altra come se fossero l’unica fonte di salvezza, come se le semplici labbra dessero tutto l’ossigeno di cui si ha bisogno. Inconsciamente, dopo qualche ora passata tra baci e sguardi pieni d’amore i ragazzi si addormentarono, felici ma spaventati dal fatto di non sapere cosa il domani riservasse loro, soprattutto dopo essersi dichiarati, non volevano morire, volevano vivere insieme ed essere felici. Ma sembrava impossibile.
E lo sarebbe stato davvero.
Il mattino dopo si risvegliarono intorpiditi e infreddoliti, disturbati dalla leggera luce del sole che picchiava sui loro occhi. Aaron incredulo guardò Caroline che già sorrideva e ringraziava mentalmente Dio per essere sopravvissuta a quella nottata infernale.
-Beh..siamo ancora qui!- Esclamò allora, contenta.
-A quanto pare si..Dovrai sopportarmi..-
-Non mi dispiace!-Disse dolcemente la ragazza, lasciando un piccolo bacio sulla punta del suo naso -Ma ora che facciamo?-
-Non so..Ma rimanere qui non ci farà spuntare improvvisamente del cibo davanti quindi alzati e andiamo! Su!-Urlò ridacchiando e alzandosi velocemente da terra. E la sua risata eccheggiò come un raggio di sole tra le strade di quella città spenta e triste. I due si alzarono e vagarono senza una meta per qualche ora finché, troppo stanchi ormai, si accasciarono contro un muretto. Furono ben presto notati da un ragazzo abbastanza alto e paffuto coperto da una sciarpa verde dalla quale si riuscivano a vedere solo gli occhi verdi e che prima di parlargli si guardò intorno furtivamente, quasi come se avesse paura di qualcosa o di qualcuno.
-Siete ebrei?-Chiese semplicemente, squadrandoli da capo a piedi. I due si guardarono confusi e benché Caroline non fosse ebrea si ritrovarono entrambi ad annuire e quando il ragazzo mormorò -Seguitemi- loro semplicemente lo fecero. Perché? Beh, non avevano davvero nulla da perdere a quel punto ed erano convinti che sarebbero morti comunque.
Camminarono per circa dieci minuti e tra strade secondarie e vicoli stretti arrivarono davanti ad una struttura che aveva tutta l’aria di essere una casa abbandonata, ma non appena furono all’interno capirono che l’apparenza in realtà ingannava. Le pareti erano rivestite con carta da parati color oro e piccoli divanetti sostavano ai lati del lungo corridoio accanto a colonne stile Roma antica che si ergevano al fianco di ogni porta presente. Le luci erano forti e sembrava tutto accogliente e caldo, una struttura così era davvero difficile da trovare a quei tempi dato che nessuno si curava più dell’aspetto delle loro case e l’amore di una volta non c’era più tra le famiglie distrutte e dilaniate dal dolore della guerra. Girarono e mano per la mano superarono un altro corridoio stretto, arrivando in una stanzina con le luci soffuse dove diversi ragazzi stavano lavorando con macchine da scrivere e quant’altro. Solo a quel punto il ragazzo misterioso si tolse la sciarpa e si girò verso di loro sorridente, porgendo la mano ad Aaron e baciando quella di Caroline da vero gentiluomo .
-Io sono Caspar. Sapete che è pericoloso stare lì fuori nella vostra situazione?-
-Sai che è ancora più pericoloso chiedere in giro a sconosciuti ”Siete ebrei?”?- Ribatté Aaron, non ancora fidandosi di quel ragazzo e stringendo possessivamente a sé la sua ormai ragazza.
-Beh è semplice. Se dicono di sì li porto fin qui, se dicono cose come ”Non parlare di quella razza impura” faccio semplicemente finta di concordare e vado via.- Spiegò il ragazzo biondo con un’alzata di spalle come se tutto ciò fosse semplice. Ma no, era una pazzia. Qualcuno si sarebbe potuto insospettire.
-E cosa fate esattamente qui?-
-Facciamo parte della resistenza- Rispose pacatamente il ragazzo, quasi come se stesse per ripetere un discorso già detto un miliardo di volte-Qui procuriamo documenti falsi. E’ un hotel dove ospitiamo le famiglie finché non troviamo qualcuno che possa aiutarle e nasconderle per bene. E’ pericoloso ma intendo fare di tutto per salvare persone innocenti e far perire quei bastardi nazisti.- Concluse con tono di voce forse troppo alto, perché ricevette un coro di ”shh” da parte dei suoi colleghi. Sembrava fiero e convinto di ciò che faceva e Aaron si lasciò convincere e con un sorriso esclamò -Io voglio chiamarmi Adolf, sai, mi piace proprio tanto quel nome!- Scatenando le risa di tutti i presenti, persino Caroline che gli lasciò un bacio sulle labbra e scuoté la testa sconfitta mormorando -Che devo fare con te, idiota?.-
Ben presto Caspar procurò loro una stanza e disse che qualche ora più tardi gli avrebbe portato i documenti con i nomi da loro scelti, ovvero ”Mariah e Marcus Righten”. I ragazzi nel frattempo si sdraiarono sul letto stanchi e scombussolati da tutto ciò che era accaduto nel giro di poche ore. Forse c’era una speranza di sopravvivere, ma non volevano illudersi troppo, tutto sarebbe potuto cambiare, quell’hotel non era affatto sicuro e dubitavano che qualcuno volesse davvero ospitarli.
-Amore..-Sussurrò Caroline, accoccolandosi contro di lui e alzando lo sguardo verso i suoi occhi. Ogni volta era come perdersi in un mare immenso dal quale non voleva uscire. Era così bello.
-Sì?-Rispose lui con un grande sorriso. Tra i due era decisamente il più fiducioso nel futuro nonostante avesse vissuto gran parte della sua vita tra lavori duri e discriminazioni e abbia visto la morte davanti a sé moltissime volte. E Caroline si chiedeva sempre come facesse ad essere così.
-Credi che ce la faremo?- Sussurrò incerta e subito ricevette una risposta secca e senza esitazione -Certo che si!- Esclamò lui, passando una mano tra i capelli morbidi della ragazza e con occhi lucidi dalla felicità iniziò a gesticolare e parlare senza più freni- Ce la faremo! Sopravvivremo e appena questa guerra sarà finita ti porterò in America. Lontano da questa terra piena di sangue e di dolori. Lì ti sposerò, avremo moltissimi bambini e tu coronerai il tuo sogno di scrittrice.. Racconterai la tua esperienza e io sarò lì a sostenerti e batterti le mani, urlando che sì, sono io suo marito, lei è mia moglie e sono così fiero di lei! Conoscerai solo felicità. Te lo prometto. Farò di tutto.- E concluse riprendendo fiato. Baciò le labbra dell’amata, pronto ad andare ben oltre per quella volta, ma furono bruscamente interrotti da Caspar che entrò in camera senza preavviso e li osservò con un sorriso pieno di malizia stampato in viso . Egli aveva sicuramente capito che si trovavano in una situazione un po’ calda, per così dire, ma con nonchalance poggiò i documenti sul basso e tozzo comodino accanto a letto e si dileguò con un semplice ”Non fate troppo rumore!”, sbattendo la porta alle sue spalle. A quel punto i due ragazzi dopo aver ridacchiato, si strinsero sotto le coperte e al contrario di ciò che tutti pensavano si misero semplicemente a dormire, distrutti e stanchi. I giorni passarono molto lentamente e serenamente al contrario di ciò che si aspettavano, ogni giorno scendevano di sotto a mangiare con altre famiglie e con una in particolare fecero amicizia, la famiglia Bowen composta dalla moglie Rachel, il marito Carl e i due figli: Gidon e Annabelle. A quest’ultima Aaron si era particolarmente affezionato, infatti passava interi pomeriggi a giocare con lei mentre Caroline li guardava da lontano con un ampio sorriso sulle labbra, fantasticando su una loro futura famiglia. E quando non erano in compagnia della famiglia Bowen essi semplicemente stavano in camera a fare l’amore, giocare a carte, baciarsi e osservarsi in silenzio. Si raccontavano storie e aneddoti divertenti della loro vita e si scoprivano lentamente.
Il tutto finché un giorno freddo di Gennaio, le retate tedesche colpirono il loro albergo considerato ”sicuro e introvabile” da parte di Caspar. Caroline e Aaron quel giorno dormivano e furono svegliati da Angeline, una delle ragazze al lavoro per fornire documenti falsi che disse semplicemente loro ”Scappate” e mise in mano loro un mazzetto di soldi ”Da parte di Caspar” disse soltanto prima di correre via dalla camera. I due sconvolti e spaventati si vestirono il più in fretta possibile e andarono in panico, non sapendo quale via scegliere. Legare i lenzuoli? No, ci avrebbero messo troppo tempo e i tedeschi li avrebbero raggiunti in men che non si dica. Credendosi ormai spacciati iniziarono entrambi a piagnucolare finché al ragazzo dai capelli neri non venne un’idea e presto afferrò la mano della ragazza, trascinandola con sé lungo il corridoio del loro piano, fortunatamente non ancora raggiunto dai tedeschi. Arrivato in fondo con un calcio sfondò il muro e davanti agli occhi stupiti di Caroline si intravide una porta. In fretta e furia e con l’adrenalina che pompava velocemente nelle loro vene la aprirono e percorsero le scalette vecchie e arrugginite, facendo attenzione a non cadere. Raggiunsero un’altra porta più piccola che li costrinse ad inginocchiarsi per poterla superare e finalmente si ritrovarono davanti alla loro salvezza, respirarono l’aria fresca per qualche secondo, ma dovettero subito scappare non appena sentirono le guardie tedesche scendere quelle piccole scale e dopo qualche minuto di corsa se li ritrovarono alle calcagne che sparavano colpi che fortunatamente andarono a vuoto. Presero una piccola stradina e riuscirono a seminarli, ma Aaron non si fermò, anzi continuò a correre ancora più velocemente. Caroline si chiedeva dove la stesse portando ma la sua fiducia cieca le diceva di seguirlo e così fece. Capì solamente quando intravide un grande porto con una nave pronta a salpare. Li stava portando alla salvezza, ecco. C’erano quasi.
-Amore, aspettami qui, faccio i biglietti velocemente e arrivo. -Disse in fretta e furia il ragazzo con ancora il fiatone e baciò la ragazza sulle labbra prima di allontanarsi in mezzo alla folla scalpitante.
Avete presente quando la felicità è ormai davanti ai vostri occhi? Avete presente i film dove i personaggi fanno una lenta corsa e proprio nel momento in cui stanno per toccarsi, per sfiorarsi accade qualcosa di inaspettato? Avete presente quando siete affamati e vostra madre sta per portare il cibo a tavola le cade il piatto? O più concretamente, avete presente quando vi illudete e sperate così tanto in una cosa, riuscite a sfiorarla ma quel singolo tocco basterà per distruggerla e vederla crollare nelle vostre mani? Quando la felicità vi da un assaggio ma subito dopo si ritira, perché è sempre così, essa arriva dopo sacrifici, dolori e brutte esperienze ma è molto più veloce ad andare via. Devi riuscire a stringerla, tenerla stretta e
conservarla. Ogni singolo momento in cui ci si sente liberi e gioiosi, va custodito per bene. Perché è impossibile essere sempre allegri ed avere solo felicità nella vita, essa arriva a noi in piccoli pezzi e spesso lo capiamo troppo in ritardo, impegnati a pensare solo alle cose peggiori. Ed è la stessa cosa che i due poveri ragazzi avevano fatto durante quelle settimane. Troppo attaccati ad una felicità che man mano è aumentata sempre di più, troppo giovani e illusi per capire davvero tutti gli aspetti della guerra. Ragazzi con voglia di vivere. E non era una buona cosa in quel periodo, era solo una realtà illusoria pronta a prenderti a pugni quando meno te lo aspettavi. E per questo Caroline riuscì ad intravedere il suo Aaron un’ultima volta mentre si allontanava prima che un’improvvisa bomba cadesse su quel porto e distruggesse tutto. Senza lasciare sopravvissuti.
FINE.
Motivazioni della giuria
Nonostante la sua giovane età, l’autrice in “Amore&Dolore” è riuscita a far rivivere il clima di terrore e violenza che imperversavano nella Germania nazista. Ed è proprio in mezzo al racconto di così tanto dolore che emerge nello scritto il sentimento dell’amore inteso come forza vitale che dà senso all’esistenza dell’uomo e rappresenta l’unica speranza per un futuro migliore.
L’Autore
Aurora Polimeni
La Giuria
Giuseppe Alessio “Presidente Fondazione Pina Alessio onlus”
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Maria Teresa Bagalà Resp. Comitato Culturale
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Paola Belcastro Direttore Fondazione Pina Alessio
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Nini Catananti Componente Giuria
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Maria Fedele Presidente Giuria
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Rosa Romeo Componente Giuria
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Caterina Sorbara Resp. Concorso Pina Alessio
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Gioia Tauro li, 09 luglio 2016