L’altro giorno ricevo questa email da parte di uno scrittore che si autoproclama “autore di successo”. Sono sincero: leggere quell’espressione mi ha fatto sorridere e la prima cosa che ho pensato è stata: “Ma se non conosco il tuo nome, come puoi definirti di successo?”.
Ma mi sbagliavo.
Intanto perché non posso sostenere che un autore non sia di successo solo perché non so chi sia. Questo è un errore che facciamo spesso: pensiamo che ciò che conosciamo sia corrispondente alla realtà, quando invece questa è molto più complessa e sterminata.
Quando possiamo dire di aver raggiunto il successo?
E la domanda di oggi è: quando puoi dire che tu o il tuo libro ha raggiunto il successo? O, se non ti piace la parola successo, quando hai raggiunto il tuo obiettivo?
Quando hai venduto tante copie? Quante copie? Cento, mille, un milione?
Quando i lettori delle dieci copie che hai venduto dicono di essere innamorati del tuo libro? E se metà di loro invece lo odiassero?
Quando la scrittura ti permette di pagare le bollette? O di comprarti una vacanza? Una macchina? E se non ci ricavassi mai un centesimo?
Quando il tuo libro su Amazon ha delle recensioni a cinque stelle?
Che succede se hai scritto il libro più brillante di tutti i tempi, ma nessuno lo ha mai letto?
È difficile dare una risposta oggettiva alla definizione di successo, ecco perché chiunque potrà sempre pur non avendo mai scritto qualcosa di decente, e qualcun altro penserà di non averlo raggiunto, pur avendo venduto migliaia di copie.
E cos’è, per te, raggiungere “il successo” nella scrittura?
“Vi sono disegni che non riusciamo ad interpretare, eppure in essi vi sono le chiavi per evadere dalle nostre prigioni”; “Non ho nulla o mio Signore! Eppure ad ogni alba che nasce e tramonto che vivo, mi sento più ricco di cielo e dalla finestra del mondo vivo il tuo incanto”; “L’anima è la madre di tutte le libertà”. Sono solo alcuni miei pensieri dato che ho pubblicato tre libri di aforismi, due sui santi, uno sugli angeli e circa trenta libri sulla poetica spirituale. Scrivere è come donare qualcosa agli altri della nostra esperienza, creatività ed intraprendenza. Tutto questo non lo faccio a scopo di lucro, ma per lasciare ai giovani l’esperienza di un’anima che si è sempre affidata alla grazia della beatitudine. Pertanto noi poeti, potremmo dire, siamo degli eletti, quindi creiamo qualcosa per la comunità a fin di bene. Ho ancora tanti testi da pubblicare, ma quando la pensione non basta, bisogna interpellare la provvidenza e continuare a far veicolare la nostra esperienza, quella che non trascura mai la volontà per l’armonia e il bene del prossimo.